lunedì, dicembre 18, 2006

LA SCONOSCIUTA

Irena (Ksenia Rappoport) è una prostituta ucraina che riesce a scappare dal suo aguzzino verso un paesino del Veneto. Lì cerca con tutti i mezzi di farsi assumere come domestica da una famiglia di orafi. La loro figlia Tea, di 4 anni, è affetta da un handicap per cui non riesce a reagisce, non ha i riflessi pronti e non riconosce il pericolo, così, per esempio, ogni caduta diventa un trauma. Irena aiuterà la bambina a guarire e a difendersi.
La narrazione prende il via dall’arrivo della donna in Veneto. Di lei non si sa niente, ma tutti i particolari della sua storia emergono lentamente nel corso del film. Con un montaggio sapiente, il regista, Giuseppe Tornatore, svela l’intero retroscena - il motivo del viaggio, la fuga e il torbido passato della protagonista - mentre la storia va avanti: il tutto è filtrato dalla memoria di Irena.
Il film è un crescendo di emozioni e si rincorrono diversi colpi di scena che portano ad un inevitabile doppio finale. Ottima la direzione degli attori: l’ucraina Rappoport è bravissima, mentre la Gerini, nel ruolo della madre di Tea, è un po’ stinta. Michele Placido ci regala un’altra bella prova, confermandosi come uno dei migliori attori italiani in circolazione, assieme a Sergio Castellitto. Interpreta il protettore di Irena, un uomo repellente, viscido e violento: è totalmente calvo e Tornatore ce lo mostra spesso nudo e sudato, per aumentare il senso di disgusto ed accentuare l’intera caratterizzazione del personaggio.
Dopo Malèna, con cui era ritornato a parlare della sua Sicilia e della passione per il cinema, temi già presenti in Nuovo Cinema Paradiso, Oscar nel 1989, Tornatore ci regala un noir avvincente e allo stesso tempo poetico. Superbe le musiche del Maestro Morricone.

giovedì, dicembre 14, 2006

ERA ORA

Stamattina ho appreso una splendida notizia: Ennio Morricone riceverà, il prossimo febbraio, il Premio Oscar alla Carriera. Finalmente. Ieri il Pardo d'oro al Festival di Locarno e il Leone d'oro a Venezia, domani l'Oscar, il massimo riconoscimento dell'industria cinematografica. Per il Maestro si tratta della prima statuetta, dopo le 5 candidature per Mission, I giorni del cielo, Gli Intoccabili, Malena e Bugsy. Faceva parte di quel ristretto numero di artisti, come Kubrick e Orson Welles, candidati innumerevoli volte senza mai vincere. E questo non poteva che rafforzare quel mio legame ambiguo con gli Oscar, amati quando sono stretti dalle mani giuste, soprattutto se italiane, vituperati quando assegnati scandalosamente, come ad Halle Berry, per esempio, o non assegnati a chi aveva il giusto merito.
Questa volta nulla da eccepire. Chi più di Ennio Morricone lo meritava? 400 colonne sonore in quarant'anni di carriera, film grandiosi resi memorabili proprio dalle sue note: dagli spaghetti-western di Sergio Leone a C'era una volta in America; da La battaglia di Algeri ai film di Petri, Rosi, Lizzani, Tornatore; da Metti, una sera a cena a Il vizietto.
Finalmente un riconoscimento al cinema italiano, al grande cinema italiano, a tutti gli operai del suono, delle immagini, delle scenografie che non lo rendono secondo a nessuno. Se Hollywood ha gli effetti speciali, noi abbiamo i costumi di Milena Canonero e le luci di Vittorio Storaro; se gli americani hanno le belle facce, noi abbiamo le belle teste, le idee, il genio. Senza fare infantili generalizzazioni, io tifo sempre per il cinema di casa nostra.
A ottobre, ho avuto il piacere di ammirare il Maestro dal vivo: è stata una emozione unica. Le prime note de La battaglia di Algeri, de Gli Intoccabili e di C'era una volta in America, mi hanno fatto venire i brividi. Ma, paradossalmente, sono rimasto insoddisfatto. Volevo ascoltare i temi di Mission e di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto! Morricone, per il suo immenso repertorio, non è uno di quegli artisti che possono essere visti solo una volta nella vita, e poi basta. Per fortuna.

martedì, dicembre 12, 2006

IL DIAVOLO VESTE PRADA

Andrea Sachs (Anne Hathaway), aspirante giornalista, trova lavoro come segretaria personale di Miranda Priestly (Maryl Streep), direttrice di Runaway, la rivista più influente nel campo della moda, che le rende la vita un inferno. La sua esistenza è completamente cannibalizzata dall’imponente e dispotica presenza di Miranda, che la allontana lentamente dagli amici, dal compagno e dalla famiglia. Il mondo della moda le è totalmente estraneo, ma deve adattarsi in una feroce lotta per la sopravvivenza. E' costretta a scegliere tra il confortevole nido del passato e il lucente mondo della moda: farà la cosa giusta.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger, è tanto piacevole quanto prevedibile. Il mondo dell' haute couture non ne esce benissimo: l’eccessiva competitività porta ad un cinismo condiviso e legittimato un po’ da tutti, a cui la protagonista saprà rinunciare.
Il punto di forza è indubbiamente la recitazione delle due protagoniste, sia della timida Hathaway, che della straordinaria Maryl Streep, in un ruolo che probabilmente le regalerà l’ennesima candidatura agli Oscar. La scelta della musica è azzeccata e calza a pennello con il ritmo frenetico del montaggio di alcune sequenze. Perfetta la scelta di “Vogue” di Madonna per la scena della trasformazione di Andrea, da ragazza della porta accanto in elegantissima segretaria alla moda. Se sapete qualcosa di vestiti, ultime tendenze e stilisti, avrete sicuramente il piacere di gustarvi e apprezzare il film nella sua interezza.