giovedì, novembre 08, 2007

LA TERZA MADRE

Una delusione unica, più di quella provata per Il Padrino - parte terza. Chiudere una trilogia è difficile, soprattutto se a distanza di anni. Ma da Dario Argento pretendevo un bel film.
Mi sono accostato alla visione con qualche certezza. Sapevo di non potermi aspettare una buona prova da Asia Argento - peraltro ulteriormente penalizzata dal doppiaggio - e conoscevo la storia delle Tre Madri, Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum, protagoniste della trilogia iniziata nel 1977 con Suspiria e proseguita, tre anni più tardi, con Inferno.
Puntavo tutto sulla sceneggiatura, in particolare sulle scene di morte, lì dove Argento ha dimostrato in passato la sua maestria. Ne La Terza Madre, il regista ha perso parte della sua originalità e della signorilità con cui distribuiva la morte all'interno dei suoi film. Molte scene virano più verso lo splatter che verso il gore. Non ricordo, peraltro, di aver visto più di dieci omicidi in un film, nè ricordo braccia mozzate e viscere in bella mostra.
La cosa che mi ha lasciato più perplesso è stato il modo con cui il regista ha deciso di mostrare il male. Dopo il risveglio di Mater Lacrimarum, una cappa di malvagità avvolge la città di Roma. Il male però non si manifesta esclusivamente in una dimensione esoterica, ma diventa male comune, sociale. Addirittura è il telegiornale a mostrare le immagini della violenza: ragazzi cghe distruggono automobili, rapimenti e barboni molestati.
Quelle che dovrebbero essere le adepte della Madre sono delle ribelli punk che infastidiscono i passanti. Alcune battute sembrano rubate a Xena - principessa guerriera, e l'apparizione della strega bianca che aiuta la protagonista a difendersi dalle insidie della Terza Madre è più adatta a una fiaba disneyana che ad una storia macabra.
Solo qualche elemento tipico del cinema di Argento, come la presenza degli animali o l'uso di insoliti strumenti di morte, meritano rispetto e comunque non riescono a tenere in piedi un film piuttosto malconcio. Tutto si può spiegare se si considera che con Dario Argento hanno collaborato due giovani sceneggiatori americani. Sarà l'ottusa nostalgia per il passato, ma Suspiria e Inferno sono nettamente migliori. Ma come dice un personaggio del film, " questa è ormai storia".
Una cosa che mi fa ben sperare è l'uscita de Il Nascondiglio, che segna il ritorno di Pupi Avati al genere horror.

lunedì, novembre 05, 2007

IL FEDERALE


Il professore Erminio Bonafè cerca di spiegare che cos'è la democrazia al fascistissimo Primo Arcovazzi, che l'ha catturato per consegnarlo al regime:


"se un individuo ha fame, il dittatore gli dà del pane e del formaggio, mentre un democratico gli dà dei soldi perchè si compri quello che vuole: pane, salame, un libro, una cravatta... insomma è libero!"

COMICI DRAMMATICI

Ho letto con una goccia di apprensione questa notizia:

(ANSA) - ROMA, 29 OTT - Nel supercast di Baaria, ultimo film del premio Oscar Giuseppe Tornatore, si aggiungono altri due nomi: Raoul Bova e Leo Gullotta. Faranno parte del megacast composto da 45 attori tra cui Beppe e Rosario Fiorello, l'eclettico Giorgio Faletti, Aldo Baglio (senza Giovanni e Giacomo), i comici siciliani Ficarra e Picone, Gabriele Lavia, la madrilena Angela Molina, Nicole Grimaudo, Spiro Scimone, Nino Frassica e Enrico Lo Verso. Uscita prevista: autunno 2008.


Ma poi ho pensato: sempre meglio un Aldo prestato a Tornatore, che un Abatantuono prestato ai Vanzina.

venerdì, settembre 14, 2007

SICKO

L'ultimo documentario di Michael Moore, Sicko, è un'inchiesta sul sistema sanitario statunitense, una delle tante facce tristi dell'America. Come tutti sanno, negli Stati Uniti il sistema sanitario è organizzato su base privata e quindi i cittadini hanno accesso alle cure solo se coperti da un'assicurazione. Di motivi di indignazione il film ne offre tanti, dalla morte di una bambina rifiutata da un ospedale perchè non convenzionato con la sua assicurazione, ai malati letteralmente scaricati per strada perchè privi di una polizza assicurativa. Ma ciò che colpisce maggiormente è la vergognosa pratica delle società di assicurazione che scavano nella vita dei clienti alla ricerca di motivi che possano giustificare il loro rifiuto di erogare la copertura per le spese sanitarie. Se per esempio sei a rischio infarto, sarà difficile trovare una compagnia che ti assista: dovrebbe spendere troppi soldi per pagarti le cure e sacrificare il profitto.
Il discredito della sanità è chiaro sia nella prima parte del film, pensata per il pubblico europeo, dove il regista mostra le storture del sistema, sia nella seconda, diretta al pubblico americano e realizzata in Canada, Francia e Gran Bretagna, tutti paesi con un regime sanitario pubblico. La meraviglia che prova Moore in Europa è la parodia dello stupore che proverebbe l'americano medio, ma è lo stesso stupore di un europeo in trasferta negli USA, che non accetta che sia il mercato a regolare la sanità e che il profitto e il denaro sostituiscano ideali come l'uguaglianza e la solidarietà.
Il linguaggio dei documentari spesso parla per opposizioni e non conosce sfumature: Moore ha preso il peggio della sanità degli Stati Uniti e il meglio di quell'europea. Non fa nessun accenno alla malasanità, alle chilometriche liste d'attesa o alle strutture non proprio all'avanguardia, oppure dell'eccellenza dei medici e della ricerca statunitensi. E' una scelta opinabile ma comprensibile, e soprattutto funzionale a dimostrare la sua tesi, che la salute deve essere un diritto e non un privilegio e che il sistema pubblico è più efficace del sistema privato, come dimostra la classifica dell'OMS del 2000 sui migliori sistemi sanitari, con la Francia al primo posto, seguita dall'Italia, e gli USA solo trentaduesimi.
Come il pluripremiato Bowling a Columbine, e a differenza di Fahrenheit 9/11, Sicko non è pensato ad uso e consumo della politica americana, anche se il problema della sanità è al centro dei programmi dei due candidati per le presidenziali del Partito Democratico, Hillary Clinton e Barak Obama. E' un film politico ma non schierato, anche nella provocazione finale, quando Michael Moore accompagna un gruppo di soccorritori dell' 11 settembre, che in patria non possono curarsi, a Cuba, il nemico numero uno della Casa Bianca, dove ricevono assistenza sanitaria completamente gratuita.

giovedì, giugno 14, 2007

PROFONDO ROSSO

"Profondo Rosso non è il classico thriller". A sostenerlo è lo stesso Dario Argento nell'intervista concessa per l'edizione in DVD del suo capolavoro. E chi può dargli torto? Certo, ci sono gli elementi tipici del trhiller, gli stereotipi di genere, come lo sconosciuto che decide di indagare da solo, la villa misteriosa e quattro omicidi. Ma c'è qualcosa di più. Argento nei suoi film ci ha abituati ad un nuovo tipo di morte, spaventosa, sorprendente e sadica. Perchè far morire un uomo semplicemente investito, quando puoi trascinarlo per metri e metri, fino a fargli sbattere la testa al marciapiede di una curva a gomito? Perchè accoltellare banalmente la tua vittima? Molto meglio se prima la fai soffrire, sbattendogli i denti contro gli angoli dell'arredamento casalingo e poi gli trapassi il collo con una lucente lama. L'idea di fondo è puntare su un dolore comune, che lo spettatore conosce sicuramente, come tagliarsi con una lametta, scottarsi con l'acqua bollente o urtare uno spigolo: tutti almeno una volta hanno provato questo tipo di dolore lancinante, sottile e acuto come questo.
Altrettanto originale è il modo di usare la macchina da presa. Nella primissima scena, sui titoli di testa, Argento posiziona la macchina da presa a terra, immobile, come i grandi maestri del cinema americano, da Welles a Kubrick, per catturare immediatamente lo spettatore e liberarlo solo sui titoli di coda. Nella scene degli assassinii, la macchina da presa è rapidissima, sempre in movimento, scruta, indaga e svela, dal primo piano al dettaglio, per mostrarci veramente tutto, perchè nulla può essere lasciato all'immaginazione. Nemmeno la scia di sangue sulla moquette, i pezzi di vetro ancora conficcati nella carne e la bava che fuoriesce lentamente dalla bocca.

mercoledì, marzo 14, 2007

L'ULTIMO RE DI SCOZIA

Nicholas Garrigan (James McAvoy, un ragazzetto simile a Silvio Muccino, ma più bravo) si è appena laureato in medicina. La vita in famiglia gli va stretta e così decide di far le valigie e andare in Uganda. Inizialmente presta servizio in un poverissimo villaggio vicino Entebbe, ma improvvisamente la sua permanenza sarà sconvolta da Idi Amin Dada (Forest Whitaker), il generale dell'esercito ugandese che ha appena preso il potere sovvertendo con un colpo di Stato il regime di MIlton Obode. Siamo nel 1972. Dopo un rocambolesco incontro, Nicholas diventa il suo medico personale. Tra i due nasce un particolare rapporto fatto di fiducia e di reciproca ammirazione. La figura carismatica di Amin strega letteralmente il giovane dottore. Il loro incontro è un po' l'incontro tra due destini, tra due percorsi di vita: l'entusiasmo di un ventenne appena uscito dalla provincia scozzese, pronto a fare esperienza, desideroso di aiutare il popolo ugandese, è intercettata dal disegno rivoluzionario di Amin, pronto a instaurare un nuovo ordine in Uganda. Lentamente però il protagonista scopre la vera identità di Amin. dietro l'aspetto da gigante buono, si nasconde un crudele macellaio, un dittatore spietato e sanguinario. Nicholas capisce che essere diventato l'uomo più vicino ad Amin è ora una trappola, un ostacolo troppo difficile da superare.
L'ultimo re di Scozia è solo uno degli epiteti con cui amava definirsi Amin, un personaggio affascinante come tutti i dittatori, dall'animo multiforme e dal carattere volubile, quindi complesso. E Forest Whitaker rende questo personaggio in maniera sublime. Recita divinamente, riempie lo schermo con la sua fisicità, la somiglianza con il generale è impressionante e te ne accorgi alla fine del film, quando scorrono le immagini del vero Amin.
L'ultimo re di Scozia era uno dei film più attesi della mia stagione cinematografica, perchè in linea con la mia idea di cinema. Ma l'attesa non è stata del tutto ripagata. Il film mi è piaciuto all' 80%: bravi gli attori, efficace l'intreccio tra realtà e finzione, bellissima la fotografia - il nero della pelle ugandese e i colori dei paesaggi africani. Però ci sono pezzi di sceneggiatura inaccettabili, poco credibili, che rendono la pellicola simile a uno di quei filmacci degli anni '80 con Dolph Lundgren o Sylvester Stallone, dove l'eroe si salva - perchè "deve" salvarsi - e sopravvive a situazioni impossibili. In particolare la fine mi ha lasciato perplesso. Peccato: non tutte le ciambelle escono col buco.

lunedì, febbraio 26, 2007

QUESTIONE DI DOVERE

Giustizia è fatta. Finalmente l'Academy ha riparato a due grossolani errori commessi in passato. La sesta nomination di Martin Scorsese non poteva andare a vuoto, era cinematograficamente insostenibile, e così è stato premiato per la regia del bellissimo The Departed. Mentre dopo 5 candidature inspiegabilmente rimaste tali, Ennio Morricone ha ricevuto uno strameritato Oscar alla carriera dalle mani di Clint Eastwood (standing ovation per Enio Moriconi!). E il pensiero va dritto dritto a Sergio Leone, incompreso da Hollywood per il meraviglioso C'era una volta in America. L'altra lieta notizia è l'Oscar per i costumi di Marie Antoinette a Milena Canonero, costumista tra le più affermate, già premiata per Barry Lyndon e disegnatrice delle mitiche tutine di Arancia meccanica. Come per la scorsa edizione, non c'è stato nessun film "pigliatutto". The Departed ha vinto quattro statuette, miglior film, migliore sceneggiatura non originale e miglior montaggio, battendo Babel. Oscar già previsti per Hellen Mirren per The Queen e Forest Whitaker per L'ultimo re di Scozia, quarto attore di colore a vincere il premio.
Due premi sono andati a Little Miss Sunshine, vera sorpresa della scorsa stagione cinematografica: migliore sceneggiatura e miglior attore protagonista Alan Arkin, il nonnetto cocainomane della protagonista. E due Oscar se li è aggiudicati anche An incovenient truth, il corto di Al Gore sui cambiamenti climatici. Hollywood, dopo essersi schierato con una superdonazione a favore di Barak Obama, candidato alla Casa Bianca per il Partito Democratico, ha ribadito la sua ostilità verso Bush, colpevole fra l'altro di non essersi mai impegnato per risolvere i problemi ambientali. L'unico rammarico è l'indifferenza dell'Academy verso Bobby, il film su Robert Kennedy, che non ha ricevuto nemmeno una nomination. Political uncorrect, altro che Borat.