lunedì, maggio 29, 2006

FREAKS

Il titolo del film può essere immediatamente tradotto in "scherzi della natura". I protagonisti del film sono davvero delle persone deformi, degli esseri la cui visione è al limite della sopportabilità. Liberamente tratto da un racconto di Tod Robbins, intitolato Spurs, il film uscì nel 1932 per la regia di Tod Browning, il maestro dell'horror reduce dal successo di Dracula. Purtroppo il successo non si bissò: costato più di 300 mila dollari, ne incassò appena la metà. Per la delusione Browning decise così di ritirarsi dal cinema. Nella didascalia d’apertura, gli autori del film denunciano i soprusi a cui erano sottoposti i “diversi” e sostengono che “il rifiuto verso di essi è frutto del condizionamento inflittoci dai nostri antenati”. Per difendersi i Freaks hanno messo a punto un loro personalissimo codice di comportamento, per cui il bene, o il male, subito da uno è bene, o male, di tutti. La storia, definita “uno spettacolo irripetibile”, getta uno sguardo colmo di pietà ed umiltà sul mondo dei “diversi”. I protagonisti sono veri fenomeni da baraccone: c’è il nugolo dei simpatici nani, la donna barbuta, il tronco umano, l’uomo scheletro e l’ermafrodito, perfettamente a loro agio nel circo ricostruito da Browning, ex saltimbanco professionista. Ecco la trama: l’avida trapezista del circo sposa per denaro il nano Hans , con lo scopo di ucciderlo. La scena culminante del film è proprio il banchetto nuziale: i Freaks offrono da bere alla sposa per il rito di iniziazione/accettazione, intonando l’agghiacciante coro “ti accettiamo, ti accettiamo, una di noi, una di noi…”. Ma la donna, ubriaca, rifiuta, maledicendo tutti i Freaks. Scoperto l’inganno, i Freaks si vendicano sulla trapezista e la “costringono” a diventare realmente una di loro. Il film si evolve in maniera circolare, con un prologo che svela quasi l’epilogo e aumenta la dose di suspence per tutta la sua visione. Purtroppo la versione distribuita fu mutilata dalla censura che ne ridusse la durata di circa 30 minuti, eliminando le scene più cruenti della vendetta. Questo perché alla prima, il film fu accolto dalle polemiche e dagli svenimenti delle benpensanti signore statunitensi. La pellicola presenta un chiaro rovesciamento di ruoli ed è apparentemente difficile distinguere i buoni dai cattivi. Ma non si può non essere dalla parte dei Freaks e colpevolizzare la bramosa trapezista rea di averne sfruttato tutta la purezza. E allora è lei la vera diversa, perchè incapace di accettare la diversità. Ecco il messaggio morale che il film vuol lasciare in eredità ai suoi spettatori. Freaks è il film maledetto della storia del cinema. La sua visione non può non essere accompagnata da un senso di benevola repulsione e di sincera meraviglia. È uno di quei film che consiglio con tutto il cuore… e poi dura solo un’ora e venti…

JFK - UN CASO ANCORA APERTO

Il procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison - un quasi anonimo Kevin Costner- è uno dei pochi a non credere alla tesi dell' omicidio di John F. Kennedy, montata ad hoc dal Pentagono: il 22 novembre 1963, a Dallas, uno squilibrato comunista, Lee Harvey Oswald ( Gary Oldman) colpisce mortalmente con 3 pallottole il presidente americano. Garrison vuole dimostrare invece la tesi del complotto, con il sospetto di un colpo di Stato: Kennedy è stato ucciso dalla CIA, i servizi segreti americani, con la complicità di un gruppo di esuli anticastristi, per le sua politica giudicata troppo morbida verso i nemici comunisti. La spedizione di un gruppo di oppositori castristi alla Baia dei Porci, voluta dal Presidente per rovesciare Castro, era stata un fallimento e Kennedy non voleva ripetere l'esperimento; la crisi missilistica del '62 tra USA, Cuba e Unione Sovietica si era risolta con un' accordo più o meno segreto con Kruscev che aveva deluso lo schieramento conservatore e inoltre, entro la fine del '63, la Casa Bianca avrebbe dato il via al ritiro dei soldati americani dal Vietnam.
Il film è un perfetto legal thriller. Il regista e sceneggiatore Oliver Stone l'ha tratto dal libro "On the trail of the assassins", scritto proprio da Jim Garrison, l'unico ad aver portato in tribunale il "caso JFK". Le 3 ore del film scorrono quasi inconsapevolmente: il ritmo è serrato e la musica tagliata perfettamente su un montaggio nervoso ed efficace. Sono incluse anche immagini documentaristiche dell'epoca e l'uso alternato del colore e del bianco e nero esprime perfettamente l'alternanza tra presente e passato. E poi è ottimamente recitato. Oltre a Costner e Oldman, ci sono Kevin Bacon e Tommy Lee Jones, nella parte di due omosessuali, Sissy Spacek e Joe Pesci, il più bravo caratterista di Hollywood, oltre ad una serie di deliziosi cammei: da Lemmon e Matthau, a Donald Sutherland a John Candy, fino a "er Monnezza" Tomas Milian, di origini cubane, nella parte di un patriota anticastrista!!
Il film cerca di fare luce su un caso ancora non chiarito, destinato probabilmente a non esserlo mai. Se è vera la tesi di Garrison, allora il marcio è presente non solo in Italia. Anche gli Stati Uniti non sono immuni alla regia occulta dei servizi segreti, degli apparati deviati dello Stato che tramano nell'ombra e sulla pelle dei cittadini. Il mio livello di indignazione va al di là di ciò che ho provato pe le malefatte di casa nostra, perchè il paese esportatore degli ideali più puri non deve cadere in tentazione. O almeno non dovrebbe. Durante la visione del film infatti sono stato sfiorato dal dubbio: e se tutto qullo che è successo era giustificabile in un mondo la cui sorte era affidata ai capricci delle due superpotenze?
L'unica cosa che non mi è piaciuta di "JFK" è stata la deriva eccessivamente zuccherosa che la sceneggiatura ha toccato in diversi punti. Oliver Stone sarà pure un regista "antisistema", ma il sentimentalismo di cui è intriso il film non è da meno ai vari polpettoni hollywoodiani.

lunedì, maggio 22, 2006

LA GRANDE ABBUFFATA

Quattro amici (Mastroianni, Piccoli, Noiret, Tognazzi, il meglio che si poteva chiedere!) si ritrovano in una villa parigina per “un seminario gastronomico”. Ma il loro incontro prefigura un macabro epilogo: un suicidio. L’intenzione è di morire dolcemente, godendo smodatamente dei due grandi piaceri della vita: il sesso e il cibo. Si servono così di tre disponibili fanciulle a cui si aggiunge una generosa maestrina che sarà per loro madre, amante, moglie ma soprattutto muta testimone della loro orrenda fine. La sceneggiatura, ricca di humor nero, regge bene e, a mio avviso, ha una sola pecca: i personaggi sono poco analizzati caratterialmente per cui non mi è nota la ragione del suicidio. Con “La grande abbuffata”, Ferreri ottiene nel 1973 un buon successo internazionale di critica e di pubblico, riuscendo nel suo intento di mostrare gli eccessi e l’autolesionismo della pingue società capitalistica. Questo film mi fa naturalmente pensarea ad un’altra pellicola limite del cinema italiano. Due anni più tardi Pier Paolo Pasolini firmerà la sua ultima opera: Salò o le 120 giornate di Sodomia, un vero pugno nello stomaco, crudo e a tratti visivamente insopportabile. Da “La grande abbuffata” il regista friulano recupererà diversi elementi narrativi, come i quattro sadici fascisti, che scaricano le loro perversioni non su se stessi, come il film di Ferreri ma sui ragazzi rapiti, l’ambientazione, una villa-prigione nella Repubblica di Salò, gli echi letterari, e le quattro meretrici che eccitano oralmente e incitano all’azione i quattro gerarchi con i loro raccontini. Il legame tra il piacere, l’eros e la morte ritorna e si acuisce. Il sesso, quel tipo di sesso, violento, esplicito, sporco, diverso dall’esperienza primaverile della joix de vivre della Trilogia della vita (Il decameron, Il fiore delle mille e una notte e I racconti di Canterbury) è il segno dello sfruttamento, della mercificazione e del declassamento della dignità. Entrambi i film si chiudono poi con un finale quanto mai criptico:speranzoso quello di Pasolini,grottesco quello di Ferreri.

VIALE DEL TRAMONTO

Joe Gillis (William Holden) si rifugia in una sontuosa e decadente villa fin de siècle, per nascondere la sua automobile che vorrebbero requisirgli. La villa è di Norma Desmond, celebre attrice del muto, interpretata magistralmente da Gloria Swanson. Joe si farà mantenere da Norma, innamorata di lui, e deciderà di correggere una sua sceneggiatura che dovrebbe rilanciarla nel firmamento hollywoodiano. E meschinamente contribuirà a rinfocolare l’illusione dell’attrice, facendola sentire di nuovo desiderata. Contemporaneamente, lavora nottetempo e in gran segreto, alla stesura di un altro testo con una giovane e piacente collaboratrice che susciterà le gelosie della star. La protagonista vive nell’ovattato mondo dei ricordi, incapace di accettare la fine del successo, decretato semplicemente dall’avvento del sonoro. Quotidianamente proietta nel suo pomposo salone tutti i suoi vecchi successi ed è convinta di poter dare ancora qualcosa al mondo del cinema. La sua immagine può essere riassunta in una sola battuta: ”Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo”. Norma Desmond è vittima di una schizofrenia che assumerà toni drammatici alla fine del film. Azzeccata è la scelta del regista Billy Wilder di affidare al perverso e hitchkockiano Erich von Stroheim, che aveva realmente diretto la Swanson nell’età d’oro del muto degli nni ’30, la parte dell’ex regista e maggiordomo dell’attrice. Sicuramente, insieme ad “8 e ½”,è il più bel film mai realizzato sul cinema, autoreferenziale, ma non auto celebrativo, con il quale Wilder ci mostra, senza indulgenze, il volto triste di Hollywood e di una attrice avviata verso il tristemente noto Sunset Boulevard. Questo film segna una incursione del regista nel genere drammatico, diverso dalla commedia per cui ha firmato successi come ”A qualcuno piace caldo” e “Quando la moglie è in vacanza”. Il film è narrato dalla voce fuoricampo del protagonista che compare cadavere all’inizio: così Wilder ci anticipa la fine del film e ci obbliga a seguirlo! Geniale! La pellicola, impreziosita dai cammei di Cecil B. de Mille e Buster Keaton, nel ruolo di se stessi, fu candidata a 11 premi Oscar, portandosi a casa 3 statuette per la sceneggiatura originale, per la scenografia e per le musiche. Amaro, sconvolgente e attuale. Un assoluto capolavoro che consiglio di vedere a tutti i costi!! Quando l’ho visto ho pensato: “mamma mia che cosa fa il successo!!”. La celebre frase dell’immortale Giulio Andreotti, “il potere logora chi non ce l’ha”, mi è parsa proprio inadatta!! Il film mi ha lasciato un profondo senso di desolazione, mi ha fatto provare vergogna per tutti quegli artisti, cantanti e attori, che vivono arrampicati sul passato e che godono di un successo oramai agli sgoccioli. A questi consiglio vivamente il ritiro!!