lunedì, agosto 14, 2006

IL PADRINO - LA TRILOGIA

"Il Padrino" è uno di quei film ai quali mi sono avvicinato, per vari motivi, con rispetto e un po' di reverenza.
Innanzitutto per il posto e il peso che ha nella storia del cinema. Poi per il modo con cui è confezionato, cioè la trilogia, che lo accosta ad un opera letteraria, alla Divina Commedia. E' innegabile il fascino che suscita in me la figura di Don Vito Corleone, il patriarca della famiglia. Anche se c'è solo nella prima parte, la sua ombra si sente anche nei capitoli successivi. Marlon Brando ha dato vita ad un personaggio unico e irripetibile, con quella mascella un po' cagnesca e la voce "soffocata". Non a caso fu premiato con L'Oscar nel 1972.
"Il Padrino" rappresenta per me la conquista italiana di Hollywood: dalla lingua ai personaggi, dal costume ai paesaggi al cibo, il Bel Paese è sempre presente. Nel secondo e terzo capitolo molte scene sono girate in Italia, in Sicilia e a Roma, e in più hanno partecipato all'opera molti attori italiani, tra cui il grande Gastone Moschin (Don Fanucci), Franco Citti e il felliniano Leopoldo Trieste. L'indimenticabile musica è del maestro Nino Rota, Oscar nel 1974, e poi sia Francis F. Coppola, che Mario Puzo sono di origine italiana: addirittura il regista discende da una famiglia lucana!!
Un ultimo accenno al cast: stellare, straordinario: oltre a Brando, ci sono Al Pacino e Robert De Niro, James Caan, Sterling Hayden, Robert Duvall, Diane Keaton e poi Andy Garcia, Talia Shire, John Cazale e Eli Wallach (il "brutto" del film di Sergio Leone, con il suo delizioso Don Altobello).
I 3 film offrono un ritrattofedele, romanzato ma realistico della Mafia, con la sua etica e le sue regole, le sue debolezze e il suo potere.
Il primo capitolo è tratto interamente dal libro di Mario Puzo, che collaborò alla sceneggiatura di tutte e tre le parti. Il nucleo centrale è la successione a sorpresa tra Don Vito e il figlio Michele (Al Pacino) alla guida della Cupola. Ci sono battute celebri e scene memorabili come la morte di Santino, il matrimonio di Costanza, per non parlare della testa del cavallo o del finale.
Il secondo capitolo, in parte tratto dal libro, si snoda su due livelli narrativi e cronologicamente diversi. Il primo mostra le vicissitudini dei Corleone fra tradimenti e rivoluzioni (Michele Corleone prevede la vittoria di Castro a Cuba nel 1959), mentre il secondo narra le origini di Vito Corleone, interpretato da un giovane De Niro, Oscar per il miglior attore non protagonista nel 1974.
Il terzo capitolo è il più infelice della saga. Peggio recitato a causa di Sofia Coppola nel ruolo della figlia di Michele Corleone, praticamente inespressiva e anonima. Poi per i contenuti: sembra un pasticcio in cui c'entrano tutti: politici, Vaticano, alta finanza, con i riferimenti agli scandali italiani, a Calvi e Andreotti. Secondo me il terzo capitolo lo hanno fatto solo per concludere la serie, anche se da anni si parla di una quarta parte, forse per ragioni economiche, basti vedere l'anno di uscita, il 1990 a 16 anni di distanza dal secondo capitolo. Dell'ultima parte si salva sicuaramente l'autentica rappresentazione della Cavalleria rusticana, che contribuisce ad aumentare l'enfasi e la magniloquenza del racconto.

giovedì, agosto 03, 2006

I MOSTRI

Se un giorno qualcuno mi chiedesse che cos’è l’ipocrisia, gli farei vedere questo film. L’ipocrisia, l’egoismo, il cinismo, l’incoerenza sono i dis-valori incarnati dai protagonisti dei 18 episodi di cui si compone “I mostri” di Dino Risi.
Il titolo allude ai personaggi interpretati meravigliosamente da Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman. Il film offre un ritratto della società attraverso delle figure tipiche dell’universo maschile, che assumono comportamenti negativi nella vita privata come in quella pubblica. Niente e nessuno si salva dall’attenta analisi degli sceneggiatori: i giornali e la TV, i politici e gli avvocati e i preti. Sono smascherati i vizi comuni, e stereotipati, degli italiani, condivisi dai personaggi dei vari film della “commedia all’italiana”, di cui “I mostri” è un degno rappresentante.
Così come altri capolavori del genere, come “Il sorpasso”, o le opere di Monicelli, anche questo film si conclude con un finale amarissimo e sorprendente, che smorza l’ilarità che si prova durante la visione. Ecco una delle tante differenze con il cinema americano: l’assenza del lieto fine, che appiana tutte le negatività, che rende il film ottimista, più digeribile, come il miele che cosparge l’orlo di un bicchiere contenente uno sciroppo disgustoso. Il cinema italiano è si più pessimista, ma più realista, fatto non per sognare, ma per pensare.